A spasso con Braian

Premessa.

Ho molti amici calabresi. E conosco la Calabria.

Ho rispetto di loro e della loro terra.

“Sfortunatamente” quanto andrò a raccontare, in maniera ironica e benevola, accade in una stanza di ospedale e i protagonisti sono tutti calabresi.

Sarebbero potuti essere pugliesi o siciliani. Ma sono calabresi.

E mi ricorderò sempre di loro e dell’avvenimento che mi ha travolto emotivamente in questa torrida estate torinese.

Avvertenza per il lettore: il livello di aspirazione, inteso a livello di pronuncia delle parole, raggiunge livelli clamorosi. Siete pregati di tenerne conto, durante la lettura degli incisi calabresi.

 

Cap.I- La suocera. La mamma. La nipote. La sorella. Il marito.

Fa caldo.

La stanza al terzo piano è bollente. Il sole batte sulle finestre e una ventola anni ottanta oscilla in maniera lenta sulle teste degli astanti.

Una donna incinta soffre tantissimo e inquieta si aggira per la stanza.

Squilla un cellulare. Parte una melodia. È la cantante Emma. Intendo dire che, la melodia è di Emma.

Una ragazza molto grassa risponde scocciata al telefono: “È la nonna. Misssseerrriiaaaaa…”

Il tratto che contraddistingue le protagoniste del racconto è la regione di provenienza.

Sono calabresi.

Di Pellaro, provincia di Reggio.

La sorella della puerpera si aggira per la stanza con l’aria preoccupata. È decisamente fuori peso anche lei.

La mamma e la suocera disquiscono in maniera concitata: “Reeeeeetaaaa…devi scegliere le collane.”. Reeeeeetaaaa (Rita) sta male. Molto male.

Deve partorire ma non è ancora il momento.

Piange, si lamenta.

Le collane che deve scegliere sono due: la prima quella da mettere al collo del neonato che ha in pancia, dopo la nascita, la seconda, quella da indossare durante il parto.

Rimango sconcertato.

Rita, poveretta, si dimena. La suocera impetuosamente alza la voce: “Reeeettaaaa…urla bella mia, urla se avi maleeee”.

In tutto questo, la stanza è un forno. Le regole della visita fuori orario (una sola persona in stanza) vengono sovvertite da questa bella famiglia calabrese.

La mamma mi rivolge la parola.

Ecco, io mi vanto spesso di capire i dialetti del sud, tipo il pugliese (per origini), il napoletano (per passione, Troisi, Pino Daniele, Totò), il siciliano per aver conosciuto persone meravigliose che mi hanno spiegato molti termini e modi di dire.

Con il calabrese ho un po’ di problemi. È un po’ come lo scozzese. È pur sempre inglese, ma faccio fatica a capire gli scozzesi…

Mamma:”CCCChepppoiReeeetaaafinoaaaierriiiiiistavbenissimchepoicièvenutaaaaaquestoomalallapancia…” – trad. Fino a ieri tutto ok, oggi invece ha male alla pancia.

Le ultime sillabe sono masticate, tagliate, perse, uccise.  Mi viene il dubbio che la signora non parli l’italiano.

Il marito si arrabbia e urla alla moglie, sempre più disperata:”Meeeefaaaa arraggiari…ca nun va acercari u medicu…stetrico!” . Il marito è una copia conforme del Gasparri politico. Sguardo non molto presente. Solo tangenzialmente toccato da un affare, che ai miei occhi, è un affare di donne.

Il telefono suona di nuovo. La nonna fa il giro di chiamate. Stavolta è il telefono della ragazza incinta a suonare. Una canzone di Gianna Nannini suona con violenza.

Le suonerie sono altissime. La voce delle persone è altissima. La nonna non si arrende e chiama su un altro numero. Un’altra suoneria altissima.

Rita, dal suo letto di dolore, chiede aiuto e ricorda al marito:”…deviandareaccasa, devi uscire abbraian.”

Anche non volendo la frase risuona epica tra le pareti della stanza. Braian? E chi diavolo è Braian?

 

Cap. II – Il treno

Non avevo capito che quel manipolo di persone era venuto apposta dal profondo sud per assistere Rita.

Sorella e nipote confabulano. Studiano orari e combinazioni.

Non capisco ma subito in mio aiuto arriva la mamma della puerpera (sottovoce): “DeveneantareaPellarosubitoappenanascelapampina…”. trad. Devono andare via subito dopo la nascita della bambina.

Uh, ma il parto non è programmato. A vedere in diretta il travaglio della ragazza, c’è da pensare che i rinforzi arrivati dalla Calabria rischino di tornare a casa senza l’ambito racconto della nascita. Le foto. L’orgoglio. Insomma una Caporetto in salsa piccante.

Sembra che siano preoccupati più per le sorti del loro ritorno a casa, che per le ambasce della loro congiunta.

Si sgranano rosari. Si fissano immaginette sacre. Si prega nei corridoi.

Ma Rita sembra non volerne sapere.

 

Cap.III -Orario di visita

Durante l’orario di visita possono entrare amici e parenti, non minori, senza limitazioni di numero.

O meglio, a discrezione delle persone. I parenti di Rita non mancano l’appuntamento. Padre e suocero. Cugini. Amici. La stanza sembra un concerto degli U2. Ma la musica di sottofondo, trasparente e impalpabile è quella di Mino Reitano.

Esco dalla stanza con mio figlio.

Fa caldo ma non importa a nessuno.

Rita, finalmente, inizia a fare sul serio. La claque ci crede. Rita va in sala parto. Io esco dall’ospedale. Da qui in avanti, è pura letteratura.

Nella notte, Rita partorirà.

 

Cap IV – Sweet home Calabria

Il risveglio nella stanza è qualcosa di incredibile. Ci sono tutti alle ottomenounquarto di un caldo sabato di agosto. C’è la mamma, la suocera, il marito, la nipote e la sorella, i nonni paterni.

Non si potrebbe ma oramai vale tutto.

Pasticcini offerti a chiunque. Saluti e baci. Si torna a casa.

 

Cap. V – Il primo figlio

Non è un maschio. Bensì una femmina. Bella, bellissima. Paffutella e rosea. Veramente bella. Il papà non la guarda nemmeno di striscio. I nonni maschi si limitano ad annuire. E’ una clamorosa sconfitta. Non è un maschio. C’è chiaro disinteresse.

Solo la suocera coccola la nipote tra le braccia.

Sofia dorme con una fascia sulla testa, (rigorosamente ricamata a mano) collanina d’oro al collo e immaginetta sacra nella culletta. La fascia in testa stava per scatenare una mini rivoluzione della famiglia nei confronti di un’infermiera rea di aver fatto notare che con questo caldo sarebbe meglio lasciar perdere.

Risposta unanime:”La pampina c’ha le orecchie che devono andare al posto loro.”

 

Cap. VI – Calabria vers.2.0 (reloaded)

Il Sant’Anna è un continuo andirivieni. Ci sono tante nascite ma purtroppo ci sono donne che hanno problemi con la loro gravidanza.

Il letto a fianco al nostro è libero fino a sabato sera quando è ora di una nuova cliente.

La nuova cliente è reduce da un viaggio, a ritroso, dalla Calabria. Al suo fianco, suo marito con una vistosa ingessatura al braccio destro (stile Mastroianni ne I Soliti Ignoti) e una signora, sua zia, con i capelli neri, corti, minuta e terribilmente loquace.

Lei sa tutto. Sa di questo, di quello, di su e di giù, di sopra e di sotto. Sa fare tutto.

Ai neonati, nei primi gg, viene somministrato un biberon con poca acqua e zucchero.

La zia preoccupata ci chiede: “Ehhhh chè non ce lo volete dare lo zucchero al bambino?”. Rispondiamo che un po’ l’ha già preso e che per stasera basta così. La signora, come se fosse una puericoltrice, azzarda: “I bambini crescono ad acqua e zucchero. Poi ci dai il latte…”

Ormai il danno è fatto. Cerca di attaccare bottone su qualunque argomento. Cerca conferme. Si vede che è una donna buona. Riempie tutti di complimenti e auguri. Ha voglia di chiacchierare: “Vuole che le cambi il bambino? Io ne ho fatti tre…sono capace…”.

E ancora:”E’ un peccato buttare quei biberon (sono usa e getta, nb), non li buttare…li prendo io che li uso per i gattini…”

Fine.

 

Postilla

Braian è un cane. Razza? Calabrese.

Lui non sa di esserlo. Ma lo è.

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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