Andèr via dur cóme un tedàsch*

Pietra Ligure, 11 luglio 1982

Uno dei miei ricordi calcistici più belli.

E il protagonista non fu solo Tardelli.

Il protagonista fu mio padre.

 

Un passo indietro

Mio padre è una persona mite. Tranquilla.

Un discreto appassionato di calcio, pugilato, formula uno…ma in generale amante di tutto lo sport.

Ama parlare dei suoi ricordi legati allo sport, al calcio o al pugilato, al limite delle Olimpiadi.

Li condisce con elementi legati al clima (faceva un caldo pazzesco), legati alle persone che erano con lui (la mamma, dormiva!) oppure semplicemente legati all’evento o ai personaggi coinvolti: Benvenuti aveva un allungo…Facchetti era un terzino fenomenale…I tedeschi, maledetti…

Ma se c’è un dualismo che lo appassiona e lo accende più di ogni altra cosa è quello nei confronti della Germania e dei tedeschi.

Non mi chiedete il perché. So solo che non li sopporta e ama ricordare il fatto che loro, ci soffrono.

Sempre.

 

Il Mundial

Il Mondiale di calcio volgeva al termine.

Mio padre aveva visto poche partite, perché al tempo le televisioni comandavano poco, e gli orari erano quelli che erano.

Vide Italia-Brasile, Italia-Polonia e infine, durante le sue ferie, la finalissima: Italia-Germania.

Campeggio Pian dei Boschi. Il solito.

Vacanze classiche. Al mare, con i nonni.

Insomma, tutto normale, tranne quella partita.

I miei ricordi di trent’anni fa, quasi sbiaditi, raccontano di un televisore a tubo catodico piazzato al centro di un grande dehors.

Una bandiera canadese sopra il televisore (e non mi spiego ancora oggi il motivo), il dehors diviso in due: di qua italiani e olandesi, dall’altra tedeschi (tanti) e qualche francese.

Beh, ecco…tutti sappiamo come andò a finire.

Ma il ricordo di quella giornata per me è quello di un uomo di trentotto anni che al terzo gol degli Azzurri (i più begli Azzurri di sempre) si alza in piedi e nell’esultanza incontrollata di un intero paese si esibisce in un clamoroso gesto dell’ombrello.

Quell’uomo era mio padre.

 

La partita del secolo

Uno dei ricordi che mio padre ama snocciolare è quello sulla cosiddetta partita del secolo: Italia-Germania 4-3. Era il 1970. L’anno delle nozze di mamma e papà. Il loro viaggio di nozze su di una 500 in giro per l’Italia.

La neve, Roma, Verona, Firenze.

E ogni volta che si parla di 1970, papà dice sempre la stessa cosa. Italia-Germania 4-3. Di notte, nella notte italiana degli anni settanta, mio padre che per la tensione o per esorcizzare la stanchezza, guarda la partita seduto, con le gambe incrociate.

Io non c’ero. Ma papà la racconta sempre così. E la mamma dormiva.

Papà dice sempre che Schnellinger non segnava mai, e solo grazie a tutti gli anni che aveva militato in serie A in Italia (usa la frase Gli abbiamo dato da mangiare) era diventato un titolare di quella Germania.

Poi papà dice sempre che come Muller nessuno mai, che Maier era fortissimo, che come Beckembauer non ce ne saranno più e che Seeler era un serpente a sonagli.

Papà chiude sempre i suoi ricordi di quella partita con la frase :…e anche quella volta l’hanno presa in quel posto, e sai perchè? Perchè ci soffrono.

 

Monaco di Baviera, 2006

Quando per i Mondiali del 2006 ho vissuto un mese e mezzo a Monaco di Baviera, ho potuto apprezzare un grande popolo. Una grande organizzazione. Gente operosa e orgogliosa di appartenere ad un grande popolo.

Vero è che la Baviera non è un esempio calzante di Germania, ma il senso di appartenenza in casi come il Mondiale di calcio va ovviamente rivisto a tutte le latitudini.

Ecco, in quella benedetta semifinale (e tutti sappiamo come andò a finire) mio padre fu la prima persona amica che sentii dall’Italia: una telefonata di qualche istante in cui si percepiva l’emozione e la grande soddisfazione dell’ennesima rivalsa ai danni dei tedeschi.

Non so perchè ma la frase fu sempre la stessa:…e anche questa volta l’hanno presa in quel posto, e sai perchè? Perchè ci soffrono.

Ridono alle nostre spalle, delle nostre miserie quotidiane, dei nostri vizi.

Però ci ammirano. Non lo ammetteranno mai. Ma è così.

La nostra cucina, il caffè, la pizza, le nostre città e anche il nostro calcio.

Ci tollerano poco, ma le loro vacanze per più di trent’anni le hanno fatte sulle nostre riviere.

Certo, marco forte e lira debole, ma alla fine potevano scegliere e andare altrove: invece con i piedi ammollo Ulf e Kristina venivano sempre da noi.

 

Papà è emiliano. È nato nel 1944. Forse essere nato sotto i tedeschi è un indizio di questa sua piccola debolezza.

È solo un caso che molte parole del dialetto natio siano di radice tedesca? Sono stati il barbaro invasore. Sono quadrati e testoni. Forse è per quello che papà non li ama.

Papà non li odia. Papà non odia nessuno. Non ne è capace.

Però si diverte a vederli perdere. E non solo contro di noi!!

 

Papà, giovedì sera partiamo sfavoriti. Loro giocano bene e hanno tanti campioni.

Sì, lo so. Però ci soffrono.

 

 

*Detto modenese.

Andar via impettiti.

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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