La coscienza non dimentica

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Mi sogno la pioggia fredda e dritta sulle mani
i ragazzi della scuola che partono
già domani.
I treni a vapore, Ivano Fossati

 

Non si può far finta di niente, meno che mai questa volta.
Non si può tacere. 
Eppure il silenzio assordante delle istituzioni a fronte della sentenza Cucchi è il silenzio dei codardi, degli inetti, dei furbi, dei delinquenti.
È omertà, è scandalo.
Un silenzio in cui risuona il vuoto creato dall’assenza del reato di tortura in un paese dove l’anarchico Pinelli vola dalle finestre della questura di Milano e i casi Aldovrandi, Uva, Rasman e scuola Diaz riempiono le pagine di cronaca ma non abbastanza da far risvegliare le coscienze dei legislatori.

La legge è uguale per tutti

Ha ragione il procuratore Pignatone: bisogna rispettare le sentenze, rispettare i magistrati e avere fiducia nella giustizia.
Ha ragione. A patto che la giustizia non sia oltraggio, dileggio, insulto.
Ha ragione. A patto che sia veramente uguale per tutti e non libera interpretazione di regole e leggi al servizio dei soliti noti.
A patto che non sia severa e inflessibile con i deboli e debole con i forti.
A patto che a pagare siano i colpevoli, quelli veri. 

Stefano Cucchi era un ragazzo. Un ragazzo sfortunato, uno di quei tanti figli che la vita si porta via troppo in fretta.
Stefano Cucchi era un geometra, un tossicodipendente, uno spacciatore.
Per me prima di ogni cosa, Stefano Cucchi era un figlio.
Morto a forza di botte (accertate), ucciso da nessuno, mentre era sotto la custodia e la tutela dello Stato.
Poliziotti, medici, infermieri. Tutti innocenti.
Tutti servitori dello Stato, tutti assolti, esenti da ogni colpa.
Liberi.

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Una storia piena di lacune, una storia che fa paura.
Una storia che ci fa vergognare.
Avete ucciso Stefano Cucchi e Stefano era anche vostro figlio.
Lo avete ucciso come fa il predatore con il più debole del branco.
Lo avete ucciso per milleduecentoeuro al mese: ci sono killer che si fanno pagare molto di più per fare dei lavoretti più puliti e più professionali del vostro.
Lo avete ucciso un’altra volta quando avete mostrato il dito medio alla famiglia dopo la sentenza di primo grado, nel giugno del 2013.
Lo avete ucciso anche voi, avvocati della difesa, che avete incentrato il processo sulla vita di Stefano, sulla sua magrezza, sul suo carattere, sui rapporti familiari, facendo un processo alla vittima.
Avete ucciso un ragazzo, un figlio, già morto.

Lo avete ucciso quando avete detto: In questo Paese bisogna finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze. Senza che siano altri, medici, infermieri o poliziotti in questo caso, ad essere puniti per colpe non proprie.*

Lo avete ucciso ancora una volta quando avete pronunciato queste parole: Basta con questa illogica ed insostenibile ricerca del colpevole ad ogni costo, perché a dire la vera verità le morti realmente violente che oltre tutto non hanno trovato giustizia né responsabili a cui far pagare il conto sono ben altre. Basta con questa non più sopportabile cantilena dell’inspiegabilità di un evento sia pur triste e luttuoso, se si vogliono sondare le ragioni di certe sciagure si guardi prima di tutto altrove, magari in famiglia. È ora che le persone che normalmente cercano attorno a sé i capri espiatori per spiegare tutto quello che non funziona nella loro vita comincino ad assumersi le proprie responsabilità.**

Servitori dello Stato assumetevi la responsabilità delle vostre azioni!
Siete i colpevoli di un omicidio ma soprattutto siete colpevoli di scavare giornalmente un solco tra voi e i cittadini.
Quel solco è la vostra sconfitta più grande.
E non pensiate di averla fatta franca perché, se i tribunali degli uomini e le leggi degli stessi vi hanno regalato una apparente libertà, nemmeno Dio o chi per lui, vi giudicherà.
Sarà la vostra immagine riflessa nello specchio, ogni mattina, ogni sera, ogni qualvolta vi guarderete in faccia, a condannarvi.
Sarà quell’immagine, quella che vi mangerà da dentro, ogni mattina, ogni sera.
La vostra coscienza sarà la vostra condanna.
Saranno i vostri figli a chiedervi se siete stati colpevoli di aver ucciso Stefano Cucchi.
Non lo spacciatore, non il geometra, ma il figlio.
E se un giorno sarete condannati anche dalla giustizia degli uomini, sappiate che il prezzo che dovrete pagare sarà infinitamente più basso dello sguardo che i vostri figli vi hanno riservato pronunciando la fatidica domanda: quel giovane, quel figlio, lo avete ammazzato di botte?

Che paese è il paese che lascia morire i suoi figli?
Che persone ci giudicano, ci governano, ci comandano?
Che persone siete? 
Cosa siamo diventati?
Noi siamo diventati QUELLA foto. 
Siamo diventati gli occhi lividi e chiusi di Stefano Cucchi.

Che la terra ti sia lieve, figlio. Che la terra ti sia lieve.


Stefano non è morto. È a casa che ci aspetta.

Rita Calore, madre di Stefano Cucchi


*Gianni Tonelli, segretario generale del sindacato di polizia Sap
**Franco Maccari segretario generale del sindacato di polizia Coisp

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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