Cronache da Atlantide – ragù e dintorni

 
…Un cappello pieno di ricordi
la faccia di uno che ha capito
e un principio di tristezza in fondo all’anima…
Francesco De Gregori, Atlantide
 

Ho bisogno di fermarmi a riflettere perchè, forse, mi sono perso qualcosa.
Forse le parole stanno mutando il loro significato, e io non lo conosco.
Forse per evitare le delusioni bisogna munirsi di un’attrezzatura antiurto: gomma ovunque, manco fossi un airbag umano pronto ad ammortizzare il colpo.
Sono deluso, ma non abbattuto, sia chiaro.
Non ho bisogno di entrare in modalità shopping compulsivo per compensare questo momento di sconforto.
E’ più facile che mi rifugi in un buon bicchiere di vino o che cucini qualcosa di clamorosamente gustoso.
E allora, per chiudere in bellezza una settimana da dimenticare, ho ripensato al ragù di mia nonna e al fatto che, sì, era giunto il momento di cucinarlo.
Così, nel crepuscolo di un venerdì strambo in cui i sogni muoiono, mentre pedalo verso casa con il peso di una lunga giornata di lavoro alle spalle, immagino rosolature lente, carni sfumate da vini bianchi, soffritti al profumo di rosmarino, pomodori e salsa.
C’è tutta la mia infanzia in quel profumo che usciva dalla minuscola cucina di via Breglio.
Tutta la bellezza della tradizione, la lentezza dei gesti e qualche piccolo segreto che ora tengo gelosamente custodito nella mia memoria.
La mia nonna era una signora mite.
I capelli bianchi, la gonna blu di panno, il golfino di lana sulle spalle.
E quel sugo, era uno stile di vita, oltre che un capolavoro di arte culinaria.
La radio accesa sin dal primo mattino.
Le preghiere recitate sottovoce e il ragù che andava sul fuoco lento, mentre altrettanto lentamente il tempo passava.
Ero lì, e solo dopo più di trent’anni ho capito che in quella pentola c’era ben più che un semplice sugo.
Non vi svelerò la ricetta. Del resto, ognuno ha una sua variante e una modalità.
Proverò a spiegarvi quanto fosse tutto così speciale.
Vi dirò di quanto mi mancano quei gesti. Quella semplicità. Quel silenzio irreale che regnava intorno ai fornelli.
E ogni volta che provo ad avvicinare quella ricetta, inevitabilmente, mi scontro con la realtà, durissima, di chi aveva abbinato il suo stile di vita ad un piatto.
Il segreto sta nella lentezza.
Non c’è altro.
E adesso, mentre pedalo verso casa, è come se lo stessi assaggiando, quel ragù.
Pedalo a passo lento mentre ripenso a parole vuote ed effimere.
Lento come il fuoco che non brucia il soffritto.
Lento come il fuoco che rosola la carne.
Lento come il fuoco che consuma il sugo.
Il flashback parte, gira e torna su se stesso.
Guardo la sala da pranzo e Francesco sorride a sua nonna.
Un attimo e sono trent’anni indietro.
Un soffritto lungo trent’anni.
Una vita.

La vita, un sugo (a volte) non saporito, insipido, indigesto e dannatamente difficile da cucinare.

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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