E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai…

Introduzione
La porta sguarnita era un crimine imperdonabile che esigeva un immediato castigo…
Eduardo Galeano

Certe volte il fango ti arrivava alle caviglie.
Certe altre a marcarti c’era uno che era il doppio, se non il triplo di te.
Certe ancora con uno scatto o con un dribbling lasciavi sul posto il tuo avversario.
A volte era lui a lasciarti sul posto. Dolorante. A terra.

La mattina andavo a scuola. Era l’ultimo giorno della settimana.
La borsa la preparavo con cura dopo pranzo: l’attesa però, si avvertiva sin dai giorni precedenti.
La voglia era tanta e anche i più freddi pomeriggi invernali non potevano fermare quel desiderio così grande, così forte.

Negli spogliatoi l’odore dell’olio canforato era acre e pungente.
I miei compagni, più anziani di me, se ne passavano sulle gambe, modiche quantità, ma il suo odore si spandeva nelle stanze asettiche e decadenti di quegli impianti sportivi.
Parastinchi, calzettoni, calzoncini, maglia. Numero? Sette.
Nel calcio amatoriale i numeri hanno ancora la valenza di un tempo: il sette è l’ala. Il quattro è il mediano, il nove è il centrattacco, il cinque è lo stopper.
Il dieci?
Il dieci è il dieci.

Prima della partita facevo un riscaldamento rapido e senza pallone, mentre i miei compagni si avventavano sullo stesso, entusiasti come ragazzini.
Non ho mai toccato il pallone prima dell’inizio della partita.
Una scaramanzia? Un rigore battuto al portiere amico…giusto per “sentire” il cuoio.

Poi l’urlo del capitano: -“Appelloooo”!- e di corsa negli spogliatoi, dove, in religioso silenzio, si ascoltava l’arbitro, vestito di nero, con la pancetta pronunciata di chi passa sempre più tempo seduto in poltrona, che elencava in rigoroso ordine numerico i giocatori segnati sulla distinta.

Finalmente tutti in campo.
Accogliente, quando il verde dell’erba lo faceva sembrare una specie di Eden calcistico.
Deprimente, quando quel colore indefinito tra il grigio e il marrone, lo trasformava nel nemico principale di ginocchia sbucciate, escoriate e sanguinanti.
Sabbioso, ghiacciato, ghiaioso, molle, fangoso, duro: quasi mai perfetto.
I radiocronisti sono soliti dire: ”Terreno di gioco in perfette condizioni, spalti gremiti in ogni ordine di posti, giornata ideale per giocare a calcio”.
Nelle partite di calcio amatoriale tutte queste cose sono irrealizzabili.
Qualche genitore infreddolito, qualche ragazza particolarmente innamorata, qualche curioso…questo è già il pubblico delle grandi occasioni.

Si entra in fila. Volano pacche sulle spalle. Con gli avversari si scambiano parole di circostanza, qualche stretta di mano, qualche sorriso forzato.
Guardi in faccia il tuo avversario diretto, il tuo marcatore.
Provi a carpirne i segreti, lo guardi in faccia e trai conclusioni.
Credetemi: le teorie lombrosiane hanno una loro funzione, soprattutto nel calcio amatoriale.
Lo sguardo di un terzino o di uno stopper che quel giorno ti farà sudare, lo riconosci a prima vista.
Ancora in fila nel cerchio di centrocampo.
Ecco il fischio dell’arbitro che ordina il rompete le righe: deve restare solo con i due capitani e gettare in aria la monetina.
Io prima del lancio eseguo meccanicamente il mio secondo rituale.
Dando le spalle alle panchine, faccio uno scatto rapido ed esco fuori del cerchio di centrocampo. Non chiedetemi perché. Diciamo che è così da sempre.
Al fischio d’inizio mi trovavo schierato a centrocampo, sulla destra con la maglia numero sette, da ragazzino però, ero un centravanti di manovra, alla ricerca spasmodica del goal.

Il centravanti vive per il goal.
Lo brama.
Lo insegue con tutte le proprie forze.
E’ egoista. Deve esserlo.
Tra tirare in porta e passare la palla ad un compagno meglio piazzato, state sicuri che tirerà in porta.
Sbilanciato, spinto, scalciato, da posizione impossibile, con un avversario che gli ostruisce la visuale: lui tirerà.
Un centravanti desidera così tanto il goal che anche il solo desiderio gli provoca dolore.

Poi un giorno, ho smesso il numero nove e ho capito che la mia vocazione era un’altra.
Quella dell’assist, del tocco smarcante!
La palla che taglia in due le difese avversarie.
Il lancio lungo che mette in condizione di segnare qualche compagno.
Il cross teso che invita i colpitori ad inzuccare il pallone e a battere imparabilmente il portiere avversario.
Questo era, ed é, tuttora, il mio cruccio.
La mia missione.
Poco importa che il pallone varchi la linea di porta dopo il tiro del mio compagno.
L’assist è una pennellata. Il goal è la cornice del quadro.

Foto de Il Bradipo errante, Barcelona, Centro Comercial Diagonal Mar

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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1 Risposta

  1. monotremo ha detto:

    Ooh, finalmente il bradipo è tornato.
    Era già un paio di giorni che passavo a dare un’occhiata e rimanevo deluso.
    Si sa, certe cose non si chiedono, ma quando arrivano fanno sempre piacere…