Essere E.
L’ambiente è familiare, la cucina casalinga, la pizza pure e la farinata anche.
I prezzi sono prezzi del nuovo millennio.
Forse qualche anno fa avremmo avuto qualcosa da ridire.
Come i proprietari.
K. è una ragazza carina, verso i quaranta, minuta, con una voce da cartone animato ma con un caratterino niente male.
E. è un classico tamarro di periferia: culo basso, tatuaggi ovunque, capelli rasati sotto i bozzi occipitali e raccolti in alto in un codino tipicamente anni Novanta.
Se dalla porta del locale entrasse Barack Obama o l’ultimo dei pezzenti di questa terra lui lo tratterebbe nella stessa maniera, in maniera diciamo così, naif…
Qualche anno fa, fuori dallo stadio, vedo E. visibilmente ubriaco.
Mi riconosce, mi saluta. Chiacchieriamo del più e del meno.
Pochi giorni dopo vado a pranzo nella sua pizzeria.
Mi siedo e noto che E. mi guarda di traverso. Mi scruta.
Poi si avvicina con il suo inseparabile blocchetto per le ordinazioni.
Non faccio in tempo a finire la frase che E. si volta verso K. (intenta a sfornare), poi si volta verso di me e sottovoce, con tono deciso, dice: “Fratè…io e te, non ci siamo mai visti. Ok?”.
Come se la lasagna fosse un marchio di fabbrica riconosciuto.
Come se a Vienna vi sedeste al Sacher Hotel e vi dicessero…”e poi abbiamo la nostra classica Sacher…”
“Fratè…ascolta un cretino. Non ti sposare mai.”
E. è così rustico che te lo dice in faccia che i suoi suoceri non gli vanno a genio.
“Se divento come quello, beh…guarda, mi sparo. Faccio prima. Ma ti sembra possibile che ogni domenica che Gesù Cristo mette in terra, quello arriva alle dieci del mattino e mi suona per andare a fare colazione in pasticceria…”.
E. è così rustico che una volta per non farmi lo scontrino mi ha detto: “Il registratore di cassa è rotto. Tu ne capisci di registratori di cassa? Perchè se non ne capisci tu…io lo scontrino non riesco a fartelo.”
*Per i non-torinesi, la pizza al padellino è una pizza rotonda cotta nel forno elettrico. Alta, molto morbida assomiglia molto ad un prodotto da panetteria.