Infinite F.
Anzi, c’è la tua nuova agenda che mi guarda.
Su quella blu, io ho scritto per un bel po’.
Scrivevo di quello che (ti, ci) accadeva fuori.
Poi sei venuto al mondo. E io per un po’ ho continuato a scrivere.
Scrivevo di come stavi, dove andavamo, cosa facevamo.
Poi un bel giorno, ho smesso di scrivere.
Date, ricordi, persone, eventi.
Scrive dei tuoi passetti, delle tue pappe, dei tuoi sorrisi.
Come se fossi bloccato.
Come quel libro enorme che, appoggiato sullo scaffale fino a pochi giorni fa, non avevo neppure il coraggio di guardare.
Due giorni, per essere precisi.
Quel libro che “Quando lo avrai finito, lui avrà il motorino…”.
Ma tu hai sempre dormito. E allora quel libro è rimasto lì.
I giorni passano e quella cavolo di agenda mi guarda in cagnesco, perchè è la mia coscienza che, in un similpelle bordeaux, mi richiama all’ordine.
E poi c’è la mia pigrizia.
Quella delle poche giornate senza lavoro, quelle dei momenti in cui gioco con te (sempre pochi, ahimè), quella delle serate di relax nelle quali spegnere il cervello e restare lì sul divano diventa un piccolo miraggio.
E così, per svoltare, prendo quel libro, e piano piano scalo il monte Everest della letteratura contemporanea.
E così, con la scusa, mi addormento per ultimo, e vengo a guardarti dormire, anche solo per un minuto, sperando che la notte passi veloce, aspettando il mattino per vedere il tuo sorriso.
Non li puoi scrivere su nessuna agenda.
E mentre mi cresce un po’ di barba, che non ti fai nemmeno avvicinare perchè pungo, mi guardo riflesso nello specchio con lo sguardo ebete e trasognato.
Poi mi giro e ti cerco.
Tu, il tuo sorriso e i tuoi occhi.
E la mia giornata comincia e finisce così, con un sorriso.
Il mio. Il tuo.