Mosca, viaggio verso l’ignoto

 

Oltre il posto di blocco la Russia. La grande Madre. Fino ad oggi avevo potuto solo immaginare le fredde ambientazioni di enormi romanzi scritti due secoli fa oppure le storie misteriose di spie che venivano dal freddo…ma con amore. 

Sono a Mosca all’aeroporto Sheremetyevo, al controllo passaporti.

Il mio sogno si è realizzato.
Ho un po’ di timore, la lingua ostile, le notizie di gravi problemi di ordine pubblico mi preoccupano oltremodo.
Però, quando ero più giovane guardavo con ammirazione quell’enorme stato-continente che aveva avuto la forza di respingere Napoleone e il Terzo Reich.
Mi affascinava pensare alla sua vastità, alla sua storia e al suo ordinamento politico, alle sue sterminate lande, alla steppa, alla tundra…alla taiga.
Il mistero era fitto. E più fitto era più mi intrigava.
Intrigava sapere di non poter sapere.
E adesso a pochi passi da me, Mosca, la Russia e una minima parte di quel mistero oramai svanito.

Polizia e esercito riempiono in maniera preoccupante l’aeroporto. Il terrorismo ceceno fa paura alla grande Madre.
Al controllo passaporti si respira un’aria non del tutto amichevole: i controlli sono accuratissimi e per un attimo l’angusto gabbiotto della polizia diventa un po’ stretto anche a chi non ha niente da temere.

Il paese, dicono le cronache, è diverso, logicamente, da quello che ha vissuto sotto la guida di Lenin, Khruščёv, Brežnev e Gorbačëv.
Il comunismo è morto. Il capitalismo ha preso il sopravvento dividendo ulteriormente la popolazione, la società ne risulta fortemente colpita: la divisione tra ricchi e poveri si è acuita in maniera esponenziale.
Ricchi? La definizione esatta è nuovi ricchi. Nuovi mafiosi. Nuovi sfruttatori.
Il sistema è cambiato è i più potenti si sono imposti con metodi molto convincenti e poco legali.

Grandi insegne luminose e grandi marchi si susseguono sulla strada che mi porta dall’aeroporto all’albergo: McDonald, Ikea, Auchan, Mediaworld, una gigantesca multisala cinematografica e…barricate anticarro, ferme lì, monumento di chissà quale epoca, di chissà quale storia, di chissà quale difesa.

Scenario impensabile fino a vent’anni fa, certo, ma è passata un bel po’ di acqua sotto i ponti della Moscova.
Le insegne luccicano e il taxi attraversa a folle velocità la notte moscovita. Non c’è il tassametro, l’auto ha percorso circa cinquecentomila chilometri, il tassista è vestito come un italiano degli anni settanta e corre all’impazzata: per soli 65 euro, in fondo cosa si poteva pretendere?!
Tutto ha un prezzo a Mosca, come in tutto il mondo del resto, ma qui si ha la sensazione che il denaro abbia una valenza maggiore: sarà perchè lo straniero porta una valuta che fa più gola dei rubli.

Per strada si notano tante pubblicità che invitano i giovani ad arruolarsi nell’esercito russo.
Allo stadio Luzhniki mercoledì e alla Lokomotiv Arena martedì, sono tantissimi i ragazzi in uniforme che presiedono lo stadio.
Non un sorriso, sguardo duro, fisso, stranito: sembrano catapultati in un mondo a loro sconosciuto.
Divisi in plotoni marciano intorno allo stadio. Sono arrivati da chissàdove a bordo di furgoni con tendine a fiori, gomme sgonfie e carrozzerie sporche e arruginite.
Sono giovani. Giovanissimi. Hanno tratti somatici differenti, che raccontano la vastità del paese, facce di gente che fino a poco tempo fa abitava veramente nella taiga e sapeva, almeno lei, cosa diavolo fosse.

Per noi che siamo spettatori di un teatro diverso, abituati a situazioni di sostanziale agio e benessere, sembra incredibile pensare che questa è la normalità. Sempre e comunque.

La Champions League a Mosca è come un’astronave aliena che cade su un pianeta sconosciuto.
Il pubblico è in visibilio quando parte la sigla che accompagna l’evento: un evento di plastica in un paese di ferro.
Resta, al termine della serata, il vento freddo che ci riporta in albergo e la sensazione che il ferro sarà freddo e arrugginito ma la plastica è quel che è…una confezione apparentemente di lusso, inutile e falsa.

Foto de Il Bradipo errante, Mockba Luzhniki Stadium

 

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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