Poste (italiche) e telegrafo

Post populista di frustrazione civica. (premetto che il post è populista, quindi se vi fa incazzare, terminate qui la lettura)
Premessa
Ore 8.25 am, ufficio postale di piazza Santa Giulia,Torino
(La coda è composta da 8 persone. Tutti uomini. Età media sui sessanta e qualcosa). Io sono in assoluto il più giovane.
(Non conosciamo di persona i signori che compongono la fila ma dal loro aspetto e dal loro linguaggio deduciamo alcune informazioni. In poche parole ci facciamo i cazzi loro, ma loro non lo sanno, dato che indossiamo dei modernissimi auricolari).
Signore 1 (in pensione, ex dipendente, istruzione media): “Non si può più andare avanti così. Questi ci hanno fregato con la lira prima e con l’euro adesso”.
Signore 2 (in pensione, estrazione popolare): “E poi, se ci stava Berluscone finivamo anche peggio…”
Signore 3 (in pensione, estrazione popolare): “Non è che se ci fosse state abbrode (forse, Prodi)…sono tutti uguali quelli…E si alzano lo stipendio.”
Signore 1: “Una volta avevamo la miglior marina del Mondo, adesso guarda per ‘sto Schettino, ci prendono in giro tutti…”
Signore 3: “Eh sì… mio padre ci è morto in marina”.
Finalmente il campanile di piazza Santa Giulia decreta con un rintocco, la mezzora.
L’ufficio postale di piazza Santa Giulia apre i battenti quando l’orologio del campanile batte le 8.30.
L’automazione delle poste (e il conseguente restyling) mi spinge sempre a pensare (sperare) che le code saranno più snelle, il servizio e il personale più competente e professionale, i sistemi informatici migliori…insomma una compagnia all’altezza.
Prendo la corsia preferenziale in quanto correntista Bancoposta (motivo: ho uno di quei conti online a zero spese, che per uno che movimenta poco i propri soldi è assolutamente perfetto). Sono il numero 6.
Peccato che i cinque che mi precedono siano il prototipo del cliente con problemi da risolvere ADESSO, l’anziano bisognoso di una mano con il contratto d’affitto, quello che ha mille operazioni da sbrigare, quello che non ci vede (e la gentile sportellista esce dal suo bugigattolo per farlo firmare ogni volta che serve), quello che non ci sente…
Ogni volta che vado alle Poste però non posso fare a meno di fare un viaggio a ritroso nel tempo.
Fine anni Settanta, inizio anni Ottanta.
Ufficio postale di via Saorgio, apertura orario statale lun-ven 8.30-13 e tanti saluti: code infinite, nonno o nonna in coda per pagare una bolletta, fare il versamento per il Messaggero di sant’Antonio (e che ci volete fare, la nonna era devota. Comunque il mensile arrivava sempre…anzi, a dirla tutta, arriva anche adesso a casa di mia madre, che è devota per familiarità), pagare il canone Rai.
L’Ufficio Postale di via Saorgio era un luogo straordinario per un bambino.
Innanzitutto era tutto di marmo, quindi le automobiline scivolavano via che era un piacere, e poi eri talmente piccolo che ti sistemavano da qualsiasi parte e ti tenevano d’occhio con facilità, vista la ridotta capacità dell’ufficio stesso.
L’Ufficio Postale di via Saorgio era un luogo di dannazione per il cittadino.
Innanzitutto si creavano delle code epocali. D’inverno faceva caldissimo e d’estate ancora di più.
Non c’erano condizionatori e donne di età variabile si sventolavano con improbabili ventagli.
L’Ufficio Postale di via Saorgio aveva un forno industriale affianco e a qualsiasi ora della mattina c’era un profumo irresistibile di pane, biscotti e grissini.
Se penso a quante ore ho passato lì dentro…
Potrei dare un esame all’università: fenomenologia dell’essere umano italico in coda. Isterie collettive e incazzature.
Lo passerei a pieni voti.
Penso. Adesso è tutto diverso. C’è il numero, non ci sono più quelle belle code all’italiana, dove tutti vanno per cazzi propri. Il numero. Numero e sportello, accoppiati.
Eh, fosse così facile.
Ho il numero sei della corsia preferenziale per correntisti. Ma lo sportello è unico. Intanto negli sportelli normali sono passate venticinque persone. In quaranta minuti. Beh, penso, efficienti ‘ste poste italiche.
E io sono ancora in coda. Intanto due persone litigano allo sportello delle raccomandate: ma come si fa a litigare se c’è il numero? Non importa, in Italia se si può litigare si litiga.
Finalmente dopo almeno dieci persone che hanno richiesto un bollettino da compilare e qualche informazione, è il mio turno.
Devo, per automatizzare la procedura di sicurezza della mia carta prepagata, fornire il mio numero di cellulare.
Ecco il numero…
Inserito.
Siamo a posto?
Sì.
Tutto qui?
Sì, arrivederci.
Cinquantadue minuti di attesa, per trenta secondi di servizio.
La domanda è: ma non potevo fornirlo attraverso un click informatico sul mio profilo di utente, dal mio computer a casa? Con una mail? Riempiendo un modulo?
La risposta: certo, quello lo deve fare comunque. Ma il primo passo lo deve fare qui.
Esco un po’ frastornato. Come quando ti fanno una supercazzola. Lo sai che ti stanno coglionando, ma non hai voglia di insistere nella vana ricerca di una logica.
Almeno una volta ti facevano stare tre ore in coda ma c’era profumo di pane.
Fine.

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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