Singolarità di una tornata elettorale al tempo del covid

L’altra sera ho mangiato male. Ma proprio male, male, male. (cit.)
Così male che ho sognato. Anzi, ho fatto un incubo.
Quando metti in fila, nei tuoi sogni, anzi, nei tuoi incubi, una serie di frammenti della tua giornata mischiandoli a notizie da prima pagina, viene fuori una roba che, ripensandoci ora, viene quasi da ridere.
Però, siccome era un incubo, era da piangere.

Ero in un parco pubblico. I bambini volevano giocare e correre ma non potevano, esattamente come i runner, che però correvano ma erano inseguiti da volanti delle Forze dell’Ordine che a loro volta erano inseguite da quelli di Casa Pound che volevano farsi menare da qualcuno, perché avevano finito di menarsi tra di loro.
Urlavano tutti. I bambini, quelli di Casa Pound, le Forze dell’Ordine.
I runner no, perché correvano e siccome si stavano allenando, non potevano sprecare fiato.
Ad un certo punto mi sono alzato dalla panchina, ho inforcato la mia bicicletta e ho iniziato a pedalare.
Mi pareva di essere in un parco torinese, ma la pista ciclabile era bella, senza buche, sicura, quindi non poteva essere Torino.
Pedalavo e notavo che molte persone avevano la mascherina ma solo alcuni la indossavano correttamente su bocca e naso: alcuni la tenevano sugli occhi, lasciando libera la bocca, altri la mettevano solo sul naso, coprendo metà occhi e metà bocca.
Alcuni, assembrati, le mascherine tricolori ce le avevano sotto il mento.

Altri parlavano a debita distanza, qualcuno limonava duramente su una panchina e un signore coreano o comunque asiatico, con un taglio di capelli imbarazzante e una struttura fisica a forma di botte, inveiva contro i due giovani amanti che, noncuranti, davano fondo al loro reciproco piacere.
Il coreano insisteva, urlava anche lui (in questo sogno urlano tutti. Chissà perché?) e diceva che al suo paese le cose si sarebbero risolte in maniera diversa, mica come qui, dove la promiscuità non è un reato.
Superata questa panchina, mi ritrovavo su un lungo viale alberato. C’erano tante persone (in realtà questa scena, mi frulla in testa da un po’, perché è stata l’ultima uscita in bici prima del lockdown, quindi è un deja-vu) e tanti bimbi che però, stavolta giocano in un parchetto con scivoli e altalene.
Un papà rivolgendosi al suo piccolo diceva: “Il Sindaco non ha ancora aperto i giochi ma tu puoi usarli.”
Io lo guardo, mi avvicino e gli dico: “Il Sindaco non ha aperto i giochi.”
Il papà mi guarda e, serafico, risponde: “Fatti i cazzi tuoi.”
Allora penso che forse avevo solo immaginato che il Sindaco avesse riaperto i giochi dei parchi pubblici e allora ho chiesto scusa al papà che, seraficamente, mi risponde: “Fatti i cazzi tuoi.”
Quindi deduco due cose.
La prima è che il Sindaco credeva che i parchetti fossero chiusi mentre la gente se ne fotteva e li usava comunque.
La seconda è che il papà ha un fine eloquio.

Mentre mi allontano, anche perché il tempo sta cambiando, io sono in bici e non voglio correre il rischio di prendermi l’acqua, noto quattro anziani che giocano a carte in una bocciofila lungo il viale.
Sul tavolo c’è una bottiglia di vino rosso e un plexiglas a forma di croce li separa. Gli anziani bestemmiano perché la dicitura corretta è plexiglas e non plexiglass ma siccome Salvini in questo caso ha ragione, uno dei quattro, tirando giù un carico a briscola dice: “Questo qui non è plexiglas. È plastica.” E giù una bestemmia.
Sotto gli alberi ci sono diversi dehors con tantissimi tavoli. Una distesa di dehors. C’è parecchia gente, ma poi dai balconi delle case vicine qualcuno urla: “Untori, andatevene a casa vostra a fare l’aperitivo! E anche di corsa.”
Vita dura per i runner che vogliono divertirsi, penso.
Scendo dalla bici per via della quantità di gente e attraverso, a piedi, un ponte che attraversa un fiume.
Prima di arrivare al semaforo, incrocio una coppia che si sta scattando un selfie. “Io, te e l’Adda. La posto subito.” La ragazza lo guarda e risponde: “Matteo, ma questo è il Po, mica l’Adda. La tua è una fissazione. Prima scambi l’Etna con il Vesuvio, poi vai sulla lapide abusiva di un tizio e dici che eri su quella di un poliziotto morto. Basta pestare merdoni, su.”

Arrivo al fondo del ponte. C’è un semaforo. Aspetto il verde.
È un semaforo lunghissimo. Arrivano altri ciclisti, qualche ragazzo con il monopattino: si crea una coda, un assembramento, a momenti un corteo non autorizzato.
Uno di questi tira fuori un cellulare di ultimo grido e smanetta compiaciuto.
Si vede che sta scrivendo qualcosa che lo rende felice.
Io sono molto curioso, sbircio lo schermo gigante del suo smartphone e leggo: “Ci iniettano il mercurio, poi Bill Gates e Conte ci alzano la temperatura corporea attraverso la app. E moriamo.”
Lo guardo, lui mi sorride e noto che indossa un gilet arancione.
“Bello il gilet. Molto utile per andare in bici. La si nota.”
Mi guarda e mi risponde serafico: “Ma fatti i cazzi tuoi.” e continua a smanettare.
Intanto è scattato il verde, il tizio mi brucia sullo scatto, non riesco a stargli dietro perché va velocissimo e lo perdo in poche pedalate.
Quando è oramai un puntino all’orizzonte, mi fermo al semaforo successivo e incontro nuovamente la coppia di prima.
“Ma perché non scarichi l’app? È importante! Ti scambi un codice mica ti registra posizione o quant’altro! Dai, non fare il complottista!”
“Io non scarico nulla. Finché non ci sarà garanzia della gestione e della tutela dei dati.”
La ragazza allarga le braccia, alza gli occhi al cielo e poi urla: “Minchia Matteo, sei su Tik-Tok, Facebook, Twitter magari pure Tinder. Ci scartavetri la minchia con le foto dei piatti che mangi, scrivi in continuazione dove sei, a che ora, quando dormi, quando caghi. Vai perfino a citofonare alla gente! Ma quale privacy!”

Scatta il verde e vedo in lontananza il tizio di prima, quello con il gilet arancione. Sta riparando la ruota della sua bici, probabilmente bucata.
Mi vede, io gli sorrido, lui inforca la bici e andiamo avanti insieme per un paio di chilometri.
Adesso costeggiamo il fiume, mi sembra di essere sul Po, ma poi vedo due battelli pieni di turisti e no, non può essere il Po, o almeno non a Torino.
La strada sale improvvisamente, il pavè è scivoloso perché deve aver piovuto.
Noto che, altre persone con i gilet arancioni urlando cose incomprensibili, stanno lavorando davanti ad un enorme buco in mezzo alla strada.

Sono davanti ad una scuola. Passano tre coreani (vedi a guardare Parasite in tv) e uno dice agli altri: “Oh, ragazzi. Domenica si vota, non dimenticatelo.”
Effettivamente i muri della scuola sono tappezzati di manifesti elettorali.
Su uno ci sono Salvini, Meloni, Berlusconi, lo Strangolatore di Boston, Frankenstein e l’Uomo Pinguino che invitano a votare per il candidato Sindaco, Massimo Giletti.
A fianco c’è proprio un cartellone rettangolare che immortala Giletti, abbronzatissimo, con una camicia bianca, il mare della Sardegna alle spalle, sorriso piacione che recita: “Porteremo il mare a Torino.”
Corro su e giù con la bici alla ricerca di un volto amico, una persona per bene, uno che sappia fare politica, magari un giovane.
Poi mi imbatto in un volto femminile. Sul manifesto c’è il simbolo dei partiti di centro-centro-centro-centro-centro pochissima sinistra + qualche liberale + qualche destrimane moderato e anche qualche moderato semplice: è quello di Evelina Christellin. Sotto lo slogan: “Per una città piena di gobbi.”
Sto quasi per cadere dalla bici. Anzi cado perché vengo colpito improvvisamente ad una gamba da una manganellata. Non è niente di grave, è l’ora dell’aperitivo e quasi certamente mi trovo in Piazza Santa Giulia.

Mentre decido di tornare a casa, il mio sguardo cade su un terzo cartello elettorale.
Il volto è quello di una giovane donna, bruna, alta, occhi azzurri, un sorriso contrito: Appendino a Torino per sempre (ATP!)
Corro a perdifiato. Realizzo che la mia città è in pericolo. Andrebbe commissariata casualmente prima delle votazioni, come il Teatro Regio prima delle accuse al Sovraintendente Graziosi, ma tant’è. Il tempo stringe.
Bisogna fare qualcosa e subito.
Torno a casa e scrivo una lettera. Ma a chi? Al PD? Alla società civile? A Possibile? All’Italgas, all’Iren, alla Wind? Scriverei pure a Chiellini, tanto sono disperato.

Sono circa le 20. Ripercorro la strada al contrario.
Sono sudatissimo, imploro tutti per individuare, in extremis, un candidato  e spero che anche fuori dai termini, me lo facciano inserire sulla scheda.
Mi appello al buon senso come fanno i politici quando non vogliono prendersi responsabilità.
Poi penso che mi sono rotto le balle del buon senso e mi immagino mentre provo a convincere il giudice del Tar sulla bontà del mio ricorso: “Signor Giudice, la prego, non può esistere una tornata elettorale con Giletti-Christillin-Appendino candidati? Mi lasci aggiungere un nome, possibilmente credibile. La prego, sia clemente!”.
Inizio una ricerca spasmodica, spulcio gli annuari scolastici del Liceo, le foto delle elementari, vado a ritroso nel tempo, cercando di trovare una figura che nel frattempo, sia divenuta di alto profilo istituzionale.
Scrivo ad amici, ex compagni di partito. Poi l’illuminazione! Sto per urlare a squarciagola il nome del mio candidato e…mi sveglio di soprassalto!
Provo a ricordarne il volto, i lineamenti, il sesso.

Mi alzo dal letto e guardo fuori dalla finestra.
Notte fonda, nessuno in giro. Ripenso all’incubo, a Torino, a Giletti-Christillin-Appendino e adatto quella citazione di qualche anno fa: “Voi italiani siete proprio abituati alle vostre schifezze, ogni volta pensiamo che voi italiani avete finalmente toccato il fondo e invece no, state lì che scavate, scavate, scavate e andate ancora più giù, più giù… raschiate”.
Penso ad un appello, a delle primarie, ad un nome di alto profilo: voglio un Sindaco con la S maiuscola.
Torno a letto. Mi metto a contare i candidati: Giletti-Christillin-Appendino-Giletti-Christillin-Appendino e mi riaddormento a fatica.
Poi provo a contare le piste ciclabili torinesi sicure ma le esaurisco subito.

Qualcuno faccia qualcosa e pure in fretta. Ve ne prego, non posso andare avanti così.

(Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale)

Si fa per scherzare, per ridere di questi tempi veramente oscuri e complicati. Però, io l’idea di far partire la cosa dal basso, ecco, non la disdegnerei. Chè magari, se ci svegliamo per tempo, con un progetto, un nome condiviso e una bella campagna elettorale, torniamo a rivedere le stelle.
Fatemi votare per, non contro.
Per favore.

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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