Ti voglio bene Nanni

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Premessa
Sono un grande ammiratore di Nanni Moretti. Mi piacciono tutti i suoi film, qualcuno di più, qualcuno di meno.
Ritengo che sia uno dei migliori registi italiani di sempre.
Ho piacere di scrivere questo post prima di vedere il suo ultimo film, Mia madre, che uscirà nelle sale il 16 aprile.
Lo scrivo perché dopo aver redatto la mia tesi universitaria, che ha come tema l’opera cinematografica di Moretti, ho maturato alcune riflessioni sui suoi ultimi film e il trailer di Mia madre mi porta a condividerne alcune.
E voglio condividerle con voi.

 

Ho appena visto il trailer di Mia madre, prossimo film di Nanni Moretti e in un minuto il trailer consegna un Moretti sempre più avvitato su sé stesso.
Intendiamoci, non ho la pretesa di capire un film in un minuto scarso, ma le cose si possono prevedere, così poi…non si fanno errori. (semicit.)
Il tema del film, per quel poco che si sa, è nuovamente la crisi artistica di un regista, in questo caso di una regista (Margherita Buy) che altro non è che l’alter ego di Moretti.

Moretti è uno che al suo terzo film (anche se i primi due erano 16 mm) Sogni d’oro (1981) interpretò un regista in crisi dopo il successo del suo primo film: un corto circuito? Una coincidenza o una grave difficoltà ad esprimere nuove idee?
Il tema della crisi artistica, ma in generale di una crisi personale, è un tema che ricorre spesso nei film di Moretti.

Se non è artistica è lavorativa come in Bianca (1984), dove il professore di matematica non riesce più a fare il suo lavoro in maniera onesta e con la passione di un tempo.
Se non è artistica è una crisi di fede, come ne La messa è finita (1985) dove il prete (interpretato da Moretti) non riesce più a comprendere i suoi parrocchiani e la sua famiglia, tanto da doversi rifugiare nella Terra del Fuoco a migliaia e migliaia di chilometri per trovare pace.
In Palombella rossa (1989) si racconta della crisi politica, degli ideali e della disillusione di un militante.

Non voglio divagare troppo.
Ritorniamo al tema della crisi artistica. Se in Caro Diario (1993) ci sono i primi sintomi di un regista (Moretti interpreta sé stesso) in difficoltà, che sogna di saper ballare ma è costretto a rifugiarsi su un’isola per poter trovare qualche sorta di ispirazione, è nel film successivo, Aprile (1998) che la crisi esplode e detona in maniera definitiva.
Innanzitutto Aprile non è un film tout-court e la crisi è apertamente dichiarata durante tutto l’arco temporale del film che apparentemente parla di politica, della nascita e dei primi mesi di vita del figlio Pietro e del nuovo ruolo di genitore di Moretti, ma in realtà è una continua fuga dal proprio lavoro e dalle difficoltà, dalla mancanza e dalla voglia di concentrarsi e realizzare nuovi e convincenti progetti.

(Sentite cosa gli dice Luchetti e cosa risponde Moretti…)

Anche nella riunione con i suoi collaboratori questa crisi è più che esplicita (Concentrati Nanni! Concentrati!) e il documentario fondamentale (“Noi dobbiamo FARE, un documentario…”) sulla situazione italiana viene messo in cantina perché la necessità (e il sogno nemmeno troppo recondito) diventa quella di realizzare un musical: “Un musical su un pasticciere Trotskista (!) nell’Italia conformista degli anni Cinquanta”.
Il film si chiude con una inquadratura collettiva di un set pieno di gente che si lancia in un ballo sfrenato e sincrono con gli attori del musical.

Apparentemente anche La stanza del figlio (2001) sembra un film distante dal tema della crisi artistica. E anche se il tema, drammatico e inquietante come la morte di un figlio, è il fulcro su cui ruota l’intero film, sarà proprio il tragico evento ad aprire una crisi di coppia, una crisi familiare e lavorativa dello psicanalista Giovanni (Moretti).

Arrendetevi voi che non lo amate: in ogni film di Moretti, c’è Moretti. Tutto.
La sua vita, le sue passioni, le sue idiosincrasie, le sue ansie, i suoi tic, il suo lavoro.
Situazioni che vengono raccontate ogni volta parlando di sé stesso attraverso i suoi personaggi (siano interpretati da lui o da suoi alter-ego).

E così arriviamo a Il Caimano (2006) e all’ennesima crisi artistica, coincidente con la crisi familiare del protagonista (Silvio Orlando, uno degli attori feticcio di Moretti) che in realtà è un fatto privato della vita di Moretti quello vero: la separazione dalla sua compagna storica Silvia Nono.
Ne Il Caimano, Moretti si ritaglia un triplo ruolo:

  • il primo, quello interpretato da Orlando, chiaramente riferito al Moretti privato;
  • il secondo, quello in cui interpreta sé stesso, un regista/attore;
  • il terzo, quello in cui interpreta il protagonista del film, ovvero Silvio Berlusconi.

La crisi artistica di Moretti/Orlando, produttore-regista in crisi, incapace di replicare i successi del passato, coincide con quella del Moretti/Moretti regista-attore oramai disimpegnato, dimentico della volontà di fare cinema di un certo livello, ma pronto per girare una commedia:“Eh…Teresa…è sempre il momento di fare una commedia…sempre…”

Si arriva così ad Habemus Papam (2011), un film che ha qualche punto d’incontro con La messa è finita (la crisi spirituale del sacerdote nel film del 1985 e quella del Papa in questo) ma rilancia prepotentemente la questione sulla crisi lavorativa/spirituale di Moretti e del suo alter-ego (in questo caso Michel Piccoli).
Moretti è uno psicanalista (il dott.Brezzi), separato dalla sua compagna, psicanalista anch’essa (Margherita Buy): è un luminare del settore, ma posto di fronte ad un caso spinoso come quello del Papa appena scelto che rifiuta l’elezione, risulta incapace di gestire il paziente.
Consiglia i cardinali di portare il neo eletto presso lo studio della sua ex moglie e, inconsapevolmente, ne agevola la fuga che avviene al termine della prima seduta.
Moretti/Brezzi è costretto a vivere in clausura insieme al collegio cardinalizio e la sua professione è annullata.
L’analista si adegua all’otium dei suoi colleghi di “reclusione”: gioca a carte, discute di filosofia e psicanalisi, dà lezioni di farmacologia e infine si cimenta nell’organizzazione di un cervellotico torneo di pallavolo tra cardinali appartenenti allo stesso continente. 

Una crisi che lo attanaglia e attanaglia anche il suo alter-ego, il Papa (Piccoli) che è in piena crisi, derivata da timori, dubbi e insicurezze da cui non si riprenderà lasciando vacante il soglio pontificio.

Dopo 4 anni di silenzio, finalmente Moretti esce con un nuovo film. Nuovo? Davvero?
E qui nasce la mia necessità di scrivere questo post.
Il minuto e mezzo di trailer è un passo indietro rispetto alle promozioni precedenti. Habemus Papam fu il primo film di Moretti promosso attraverso il web, mentre qui, c’è un piccolo resoconto che nelle intenzioni di un regista particolarmente conservatore e geloso dei suoi prodotti, svela, ma non troppo. Dice, non racconta.
Del resto, Moretti più di una volta non ha fatto mistero di questa sua idiosincrasia verso lunghi trailer, grande pubblicità: Moretti vive l’attesa, come uno spettatore che non vuole sapere, ma vuole scoprire, una volta dentro la sala, cosa il regista racconterà con la sua opera.
Niente anticipazioni, nessuna fuga di notizie, mistero più o meno assoluto.

Però, ad un attento osservatore del mondo Morettiano, quel minuto e mezzo può sembrare il campionario completo dell’ultimo Moretti (regista e privato). 
C’è una regista, Margherita Buy (ovviamente alter-ego di Moretti) in crisi con il suo compagno (“Dai, tanto lo sappiamo che è così. Abbiamo già deciso.”), in difficoltà nel suo lavoro invitata da suo fratello (Moretti) a fare qualcosa di nuovo, di diverso, rompendo almeno uno dei suoi tanti schemi.
Una battuta che ci riporta ad Aprile: “D’Alema dì qualcosa di sinistra!”, ma anche al dialogo che abbiamo visto con Luchetti poco sopra; inevitabile il pensiero corre al musical del pasticcere trozkista, o alla scena dell’automobile de Il Caimano in cui c’è il chiaro intento di scardinare il proprio cinema, girando una commedia.
Margherita rompi uno schema!! Ma in fondo è Nanni che vorrebbe e dovrebbe farlo.

Infine le scenette delle incomprensioni tra regista (Buy) e attore (Turturro), le difficoltà di Moretti durante un dialogo di lavoro chiudono un trailer che accompagna lo spettatore verso la sala, lo fa accomodare e lo invita a godersi lo spettacolo.
Presumibilmente, la storia verterà intorno alla malattia della madre e alla successiva scomparsa della stessa: qui il rimando con la vita reale sembra scontato visto che il regista romano ha perduto sua mamma qualche anno fa.

Qualche dubbio resta.
E non è piccolo. Perché un affezionato come me, continuerà a vedere i nuovi film di Moretti, ritrovando tutte quelle linee guida tracciate in quasi quarant’anni di carriera: mi piace trovare rimandi, personaggi, battute, canzoni, ma il rischio di rivedere il solito film di Moretti, alla lunga mi inquieta.
Penso ad esempio a quanto accade per il sottoscritto con Woody Allen. 
Allen (a cui Moretti è stato accostato per qualche assonanza) sta riproducendo sé stesso da parecchio tempo, in un eterno campionario sempre uguale che nemmeno il più bravo venditore commerciale della bassa Padania riuscirebbe a riproporre ai propri clienti.
Certo, Allen è un regista straordinario, uno che nella storia del cinema ci è entrato e difficilmente ne uscirà.

Ma quando arrivi a confondere i film, non ricordarti i titoli, dividere quelli in cui c’è Allen o soltanto un attore che ne riproduce ansie, ipocondrie e idiosincrasie, beh, allora vuol dire che la corda si è spezzata definitivamente.
Non è una critica verso un film che peraltro non ho ancora visto e che sicuramente vedrò, ma è una delle paure che, probabilmente, alberga in Moretti stesso quando critica George Lucas.

“L’altro giorno, ho visto con lui Guerre stellari atto II. Mio figlio si è divertito: e io, ne ho perse tante di ore nei cinema, che due ore in più o in meno non fa differenza. Ma Lucas, con tutti i soldi che ha, può fare qualsiasi film. Io sono convinto che deve essere noioso anche per lui fare questi film, con le astronavi, questi effetti speciali che non portano da nessuna parte…”.

In sostanza, c’è tanta attesa ogni volta che esce un film di Moretti e la critica si dividerà inevitabilmente mentre il pubblico probabilmente premierà il cineasta romano.
Con Moretti è così, si va sulla fiducia e in genere se ne esce ripagati.

Per me è così sempre, o quasi.
Sperando di non finire a confondere i titoli, i personaggi e iniziare ad avere nostalgia di Bianca e La messa è finita, proprio come ho iniziato a fare con Allen, i suoi Manhattan, Io & Annie e qualcosa (ma proprio poco) datato post 1993.

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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