La lunga notte delle isobare

La stanza buia.
Un candelabro con cinque candele smozzicate.
Silenzio.
Un uomo, chino su alcune carte, impreca battendo i pugni sul tavolo.

“Diamine, Elmundsson, quante volte le ho detto di non bestemmiare? Non vedo la necessità di prendersela con le divinità…”
“Me la prendo con le divinità, dott. Voigt, perchè le cose qui stanno peggiorando, giorno dopo giorno…e le ripeto, che io sono ateo. Cristo santo. Maledettissimo clima. Ma perchè continuare con questa resistenza assurda. Siamo in quattro in tutto il mondo, nessuno ci ascolta, se mai ci trovassero ci ammazzerebbero come cani. La gente vuole la nostra pelle. E poi perchè dobbiamo continuare a prevedere il tempo…considerando che le stagioni sono impazzite e nulla è prevedibile!?”

Erano rimasti in quattro. Quattro meteorologi in tutto il mondo.
Due sepolti in questo vecchio casale scozzese, uno in Nuova Zelanda e il quarto, ricercato dalla polizia internazionale, continuava a vagare per il mondo, facendo perdere le tracce di sè ad ogni spostamento.
In Nuova Zelanda, il tedesco Guttbroth viveva nella più tragica indifferenza.
Mentre il fuggitivo Ramshornst, norvegese, riusciva a proseguire nei suoi studi e facendo pervenire le previsioni meteo a giornali e tv, nonostante il divieto internazionale dopo la tragedia del 2013.

I più giovani non possono ricordare, ma quell’anno decretò la morte della meteorologia.
I meteorologi sbagliarono tutte le previsioni, le stagioni impazzirono, le fasi lunari diedero la mazzata finale ad un pianeta ridotto in ginocchio da terremoti e maremoti.
I campi devastati dalle grandinate non previste, le piogge torrenziali, il caldo improvviso, il vento freddo, le gelate fuori stagione.
Un lungo inverno inframezzato da poche, sporadiche, giornate caldissime.
Le stagioni rovesciate, le zone geografiche pure.
I meteorologi non sapevano che fare e le grandi multinazionali persero milioni e milioni di euro.
I manager si affidarono a vecchi àuguri e aruspici tradizionali, chè scrutassero voli di uccelli e interiora di animali per capire i mutamenti climatici e le implicazioni che potevano avere sui loro investimenti.

I meteorologi erano ricercati. Sulle loro teste pendevano accuse non provate, mezzo mondo li voleva morti ma loro continuavano a lavorare in gran segreto per offrire alla gente i loro servigi.
Erano passati anni e le carte meteorologiche erano un ricordo, dato che bastavano i modelli numerici.

Voigt seduto davanti al caminetto sorseggiava un torbato dal profumo robusto.
Lui era dipendente dal whisky e non esercitava più la professione, nemmeno in maniera clandestina: “Mi limito a guardare il cielo. E provo ad interpretare.”
Faceva parte dell’ala dura di independent meteorology, quella che non era disposta a scendere a patti con la comunità scientifica: lui rivendicava i vecchi metodi a fronte del fallimento dei modelli numerici.
Elmundsson, islandese, invece non si dava pace e cercava notte e giorno una soluzione per tornare ad una vita normale.
“Bastardi. Non ci avrete mai. Fate leggere questa spazzatura alle vostre puttanelle da strapazzo. Noi continuiamo a lottare per capire questo dannato clima.”
Elmundsson si lamentava del fatto che gli studi non lo portavano da nessuna parte, che le tv davano alla meteorologia uno spazio marginale e che per alzare gli ascolti, mettevano in bella mostra ragazzotte più o meno svestite per mostrare le previsioni (sbagliate) che lui e Voigt divulgavano in maniera clandestina.
L’incontro con McQuane si svolgeva al pub Old Firm, nei sobborghi di Inverness.
McQuane era fidato e mai li avrebbe traditi. Nessuno in quella landa sperduta immaginava che quei due signori di mezza età erano peggio della peste bubbonica per il potere economico di mezzo pianeta.

“Non siamo meteorologi, siamo reietti della società.” – disse Voigt sorseggiando il whisky mentre la pioggia  bagnava i vetri della casa.
Elmundsson rileggeva le carte e spesso si addormentava su di esse.
A quel punto Voigt spegneva le candele e andava di sopra a dormire.
C’erano notti nelle quali Elmundsson, seduto sul tetto, scrutava il cielo sperando di poter risolvere l’intricato rebus delle isobare impazzite.

Quella notte, Elmundsson apprese della morte di Ramshornst, ucciso in una tempesta elettrica a Central Park.
Era rimasto solo. Voigt non lo aiutava e Guttbroth era troppo isolato per essere utile alla causa.

Il clima era impazzito. Proprio come nella primavera del duemilatredici. Faceva freddo ovunque, tranne nei posti dove doveva essere inverno e invece era estate.
Gli animali morivano, le piantagioni soffrivano, la siccità distruggeva e le inondazioni pure.
Come se un gigantesco interruttore fosse stato montato al contrario.
Ma lui non se ne capacitava. Continuava a leggere le carte, calcolare e ricalcolare.

Qualche mese dopo, Voigt uscì di casa e non tornò più.
Elmundsson trovò un biglietto su tavolo della cucina, poche righe: “Grazie amico. Ma è giunto il momento di separarci. Sento che il cerchio attorno a noi si sta stringendo. Non voglio morire senza aver fatto ritorno a casa. Da dove sono venuto, là voglio tornare. Voglio tornare a vedere il tramonto a Lubecca, dove sono nato.”
Prese il bollitore e lo mise sul fuoco. Aprì il gas a fiamma alta.
Il tè caldo gli appannò gli occhiali.
Era giunta l’ora di rimettersi a capofitto sulle carte.
Guardò il cielo. Le nuvole bassissime del cielo scozzese minacciavano pioggia.
Il barometro era rotto. L’igrometro segnava umidità al novanta per cento.

Accese la radio per ascoltare le sue previsioni del tempo.
“Maltempo generale in tutta Europa. Pioggia e temporali, neve a bassa quota. Si segnalano fenomeni scostanti e variabili nelle zone della Spagna meridionale…”
La voce dello speaker continuava nella litania dei disastri meteo.
Elmundsson si recò verso la sua scrivania dove c’erano le sue carte sinottiche.
Le previsioni erano esatte. Tutte.
Sorseggiò il suo tè. E sorrise.
Si tornò alla situazione precedente alla primavera del duemilatredici.
Voigt sorrise ancora e uscì sotto la pioggia.
Felice, come mai, di bagnarsi da capo a piedi.


Dedicato a tutti i meteorologi che non riescono a prevedere questo scempio.
E anche quelli che lo prevedono.
Mi piace pensare che siano tutti pessimisti.

ilbradipoerrante

Di Torino, amante di calcio e sport, laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Se rinascessi vorrei la voleè di McEnroe e il cappotto di Bogart. Ché non si sa mai.

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